venerdì 12 giugno 2009

dalla 106 alla vita di tutti i giorni...partecipare per cambiare

Non v'è dubbio alcuno che qualsiasi messa in sicurezza relativa alla statale 106, come ad altra arteria, è nulla di fronte all'irresposabilità dei conducenti.
Sarebbe utile valutare l'impatto di tutti gli interventi di educazione stradale effettuali da qualche anno a questa parte nelle nostre Scuole. Alrimenti intervenire senza riscontro è poca cosa.
Ma è anche legittimo definire la 106 strada della morte per numerosi fattori oggettivi e strutturali. Sicuramente i numerosi svincoli abusivi ( o almeno presunti tali) presenti.
Provate a contarli su una ampiezza di 5 kilometri.
Altro discorso gli svincoli non abusivi, a sinistra, che dovrebbero essere sostituiti dagli svincoli a raso o sottopassi.
Abbiamo quello di Annà e Pilati che da soli meritano l'appellativo mortifero che viene rivolto alla 106.
Il controllo scarso da parte delle forze dell'ordine. Anche questo è un dato di fatto. Il rettilineo che "sorvola" Condofuri permetterebbe ad un autoveicolo di media cilindrata di raggiungere 150 orai in un batter di ciglia.
Forse un autovelox segnalato aiuterebbe a cambiare cultura automobilistica.
Sulle postazioni di Emergenza Territoriale (118) forse, e su questo invito la Redazione ad accendere i riflettori, il discorso va allargato.
Fin quando dominerà la logica del risparmiare sui deboli ( cittadini, medici precari, territorio) da aprte dell'attuale governance dell'ASP 5 e della regione calabria senza effondare nei veri sprechi della Sanità, penso sia utopistico pensare ad un incremento.
Questi leggeri ragionamenti la Politica, che dovrebbe avere a cuore per mandato la vita dei cittadini, le consce e forse le ignora.
I cittadini non lo so e sulla loro conoscenza e partecipazione vanno fondati i processi di cambiamento.

mercoledì 6 maggio 2009

il luogo di Angelo

Alla morte del grande Giacinto Facchetti, terzino dell’Inter anni 70 ed 80, anche lui uomo perbene, il figlio ha citato un passo tratto da "Fahrenheit 451" di Ray Bradbury.
"Ognuno deve lasciarsi qualcosa dietro quando muore, diceva sempre mio nonno, un bimbo o un libro o un quadro o una casa o un muro eretto con le proprie mani o un paio di scarpe cucite da noi. O un giardino piantato col nostro sudore. Qualche cosa insomma che la nostra mano abbia toccato in modo che la nostra anima abbia dove andare quando moriamo, e quando la gente guarderà l’albero o il fiore che abbiamo piantato noi saremo là".
Rileggendo questa frase mi chiedo dove posso trovare, domani, il posto di Angelo.
Ai nostri Convegni, sul sociale, sui servizi rivolti ai più deboli, dove non è mai mancato e con forza ha difeso il nostro impegno?
O in tutta l’Area, dove spinse per realizzare la rete, ovvero la connessione di forze tendenti per un comune benessere che non si vive sotto il proprio campanile ma sotto il portico di tutti quelli che discendono dai greci e dalla spuma del mare che generò Afrodite Dea dell’amore?
Nella gioventù di Bagaladi che foriera di impegno ed innovazione cresce e si moltiplica come forse in nessun altro paese ai piedi della Montagna?
Molti affermano che l’unica certezza della vita è proprio la morte.
Guai se fosse così. O almeno soltanto così. La certezza vera sta nelle opere che si compiono e generano il bene, il lavoro, i servizi, la concordia e le umane relazioni.
Su questo Angelo è stato una persona dalle molte certezze infusa agli altri.
Si lascia dietro un’opera maestosa che tutti sentiamo ma non vediamo, avvertiamo ma non tocchiamo…
Ci lascia davanti una via da percorrere, quella dell’impegno, dell’unità senza divisioni, senza invidie e contrapposizioni, per il supremo comune benessere del nostro territorio.
Questo è il luogo, da oggi in poi, dove troveremo Angelo.

lunedì 30 marzo 2009

bisogna tornare a parlarsi

È mio carattere distanziarmi da ogni esagerazione, perché la reputo improduttiva.
A volte questa blocca ogni forma di comunicazione, esaspera le cose, le porta ad un punto irreversibile.
Devo anche dire che quando il piano è quello relazionale, ovvero un dialogo sereno, composto e ragionato, dove le parti si sforzano a comprendere e comprendersi, le cose prendono un'altra piega.

Sono contento stasera di aver sentito una persona con la quale le relazioni si erano incrostate a causa di detti e non detti, caratteri diversi e visioni soggettive.

L’occasione mi ha permesso di avvicinare i piani e le forma diverse di comunicazione.

Mi preme,per non scadere eccessivamente nel personalismo, ricordare a tutti le 12 barriere alla comunicazione, che in dettaglio sono queste:

1. DARE ORDINI, COMANDARE DIRIGERE
2. MINACCIARE, AMMONIRE, METTERE IN GUARDIA
3. MORALIZZARE, FAR PREDICHE
4. OFFRIRE SOLUZIONI, CONSIGLI, AVVERTIMENTI
5. ARGOMENTARE, PERSUADERE CON LA LOGICA
6. GIUDICARE, CRITICARE, BIASIMARE
7. FARE APPREZZAMENTI, MANIFESTARE COMPIACIMENTO
8. RIDICOLIZZARE, ETICHETTARE, USARE FRASI FATTE
9. INTERPRETARE, ANALIZZARE, DIAGNOSTICARE
10. RASSICURARE, CONSOLARE
11. INDAGARE, INVESTIGARE

12. CAMBIARE ARGOMENTO, IRONIZZARE
Ovviamente a tutti accade di attivarne qualcuna, l’importante è che si diventi consapevole delle conseguenze.
Detto questo….tutto è meglio del silenzio.

Quando la vita pesa

Troppo spesso, vuoi per richiedere attenzione vuoi per schiacciante disperazione si sceglie di concludere la propria vista, magari attraverso gesti eclatanti. Magari per mancanza di un lavoro stabile.
Forse ciò è accaduto anche dalle nostre parti.
Gli Enti e Le Associazioni si confrontano tutti i giorni con situazioni al limite, dove la sordità di molte Istituzioni ma anche l'imprevedibilità degli esiti fanno da cornice al potenziale dramma.
Sulla disoccupazione gli Enti tutti non possono invece pensare che "basta poco".
No..non basta poco, ci vuole il lavoro e la produzione dello stesso come principale obiettivo di tutti.
Anche il volontariato, se surroga la produzione del lavoro prestando opera gratuita e quindi impedendo l'emersione delle problematiche, di fatto alimenta la disoccupazione, pur partendo da altri principi.
I servizi ci devono essere e devono essere finanziati.
Il volontariato deve aggiungere valore a ciò.
Quando accade un suicidio per disperazione dovuta alla disoccupazione si riempiono pagine e pagine, pensando a quello che si poteva fare e non è stato fatto.
Spenti i riflettori tutto scorre come prima.
Spenti i riflettori rimane la disperazione.

martedì 10 marzo 2009

e le Stelle stanno a guardare!

Per l’ennesima volta abbiamo assistito alla distruzione della cosa comune, presso gli Istituti Scolastici del mio paese, Melito di Porto Salvo. 11.000 abitanti, tanti giovani, molto sociale, parrocchie e naturalmente parecchie scuole.
Da qui il rimbalzo mediatico, per la verità un pò retorico, ovvero la crisi della famiglia, i giovani senza valori, la scuola impreparata.
Nessuna voce si è levata per proporre un intervento reale che vada nella direzione del problema, ovvero chi educa questi giovani, come,che valori si trasmettono, che modelli e stili di vita...che coerenza... e soprattutto che fare per sistemare le cose.
La video sorveglianza è un problema di controllo, giusto ma conservativo del bene. Il giovane alla deriva come lo si aiuta?
Che la debolezza della famiglia sia fatto conclamato,è cosa nota.
Evidenziarne le cause e peggio ancora giudicare aspramente l’operato, è cosa inutile.
Anzi, inasprisce ancor di più la già viziata relazione con la Scuola.
Il rimpallo delle responsabilità non serve a niente, se non alla coscienza di chi non è disposto a mettersi in discussione.
La soluzione è ad altri livelli. O meglio, a livello operativo.
A Melito non esiste un servizio di sostegno rivolto a famiglie non patologiche, intendendo per ciò la presenza di una problematica conclamata in casa.
I problemi educativi vengo continuamente rimpallati, e tutti, dico tutti, dalle forze sociali alle Istituzioni, all'accadere del problema, convocano consulte, esprimono pareri.
Ancora stiamo aspettando il Forum dei giovani, dopo l'episodio di Antonino, ferito casualmente da mano stupida in occasione di una recita di fine anno.
Ancora aspettiamo che le Associazioni, dopo le coreografica fiaccolata a seguito di un danno all'auto di un bravo parroco, spingano per portare il problema all'interno delle istituzioni, in quel caso la Consulta alle Politiche Sociali.
Operativamente non serve il PON di francese o l'incontro con il Capitano dei Carabinieri quando non si è disposti ad intercettare i figli marginali, quelli che delinquono o che sono predisposti a ciò.
Operativamente il sociale deve proporre, l'istituzione deve accogliere ed anche finanziare buone proposte, perchè il volontariato è un valore aggiunto non un servizio gratuito, la famiglia deve essere messa nelle condizioni di poter esprimere i propri drammi, senza essere giudicata( cui prodest).
Questo è un blog. Il mio possibile intervento è un'altra cosa. E per questo problema sono già al lavoro.

domenica 8 marzo 2009

Facebook che fare?

Non sarà mica un luogo di perdizione, questa piattaforma sociale che comunque diverte. E sa lo fosse, comunque fa parte di una scelta.
Quanti dibattiti su facebook.
Il bene ed il male, come se esistessero così netti e demarcati!
Questo sistema di “comunicazione” di fatto diventa un linguaggio dove i giovani ed anche i meno giovani si incontrano sperimentando un nuovo codice.
È vero che questo sistema diventa alienante quando sostituisce la mimica, lacunosa, stentorea ma vera e reale comunicazione tra emittente e ricevente con modalità frontale.
Ma se vogliamo capire e capirci, dobbiamo sperimentare linguaggi nuovi.
Quindi va bene facebook e senza paura approcciamoci al nuovo.
Il medioevo è passato da un pezzo!

Perché non il nove marzo, ed il dieci e via tutto l’anno?

Sta per finire la domenica delle donne! Domani è un altro giorno. Appunto lunedì…e tutto torna degli uomini.
Allora riflettiamo quanto conta il rito nella nostra vita, oppure il ritorno delle decisioni e dei fatti. Ancora oggi donne rinunciano al lavoro per la famiglia, come se fosse un biblico sacrificio da perpetrare.
Tutt’ora non esiste nel nostro circondario, piuttosto vasto per la verità, un sindaco donna.
Cosa ci dice tutto ciò?
Forse che i passi per la perequazione sono ancora lunghi, per quanto avviati.
Forse maggiore sostegno andrebbe rivolto alle donne “madri di famiglia” per la loro realizzazione lavorativa e formativa?
Allora usciamo dal rito dell’8 marzo, dedicato comunque ad una tragedia causata da una giusta rivalsa, e facciamo di tutti giorni un 8 marzo, dedicando alle nostre donne non solo un giorno da leoni ma tanti giorni d’impegno per una società più giusta.