martedì 23 gennaio 2024

 È morto Gigi Riva, attaccante anni settanta del Cagliari e della Nazionale italiana. È una morte che risucchia nel ricordo i miei anni piccoli, e le figurine Panini che "scambiavo" con i compagni. Riva era un uomo di carta, che valeva dieci, venti figurine. Anche più. Indossava una maglia bianca con i bordi rossoblù. Terra di pastori riscattata a colpi di testa e rovesciate volanti. Era il calcio delle partite alle due e mezza di pomeriggio, alla domenica. Ogni domenica. Di novantesimo minuto sobrio e in bianco e nero, e di un tempo in differita, alle diciotto circa, della partita più importante della domenica. Era il tempo degli anni bambini, delle prime amicizie e dei calci ad un pallone di doppia gomma in mezzo ai sassi ed alla polvere. Erano i tempi di un tempo che non torna, ed ogni tanto qualcuno, più o meno importante, se ne va. E ci ricorda che nulla è eterno, e che "come l'acqua noi passiamo, noi che siamo fiori sui rami, noi che cominciamo e finiamo" *

Andiamo sempre avanti, tutti. Famosi e non. Fino alla fine. Ciao Gigi Riva, e ciao anni bambini.

*Domenico Dara.


lunedì 22 gennaio 2024

 Venerdì 12 febbraio sono stati celebrati funerali delle quattro vittime dell’incidente stradale di Montauro. Tutto il paese di San Luca, ma oserei dire tutta la Calabria, salutano questi quattro giovani che hanno trovato una assurda morte. La ferita è aperta e di difficile guarigione per le persone più prossime a loro. Forse, un po’ per tutti noi. La notizia nel mondo della comunicazione globale e accelerata viene sovrastata da altre. Restano però delle ferite aperte, e restano in tutti noi calabresi che ci riteniamo liberi. Forse, ci riteniamo più liberi di quello che realmente siamo. Anzitutto la sequenza che ad ogni morte sulla statale 106 si ripete quasi all’infinito. Una sequenza fatta di denunce, proclami, e immobilismo. Sfuma l’evento, sfuma l’indignazione. Noi calabresi ci spegniamo esattamente come ci accendiamo. 

Resta ancora aperto un tema, che è trasferibile in ogni situazione, e ci riguarda. Riguarda ognuno di noi. E si chiama pregiudizio. Io stesso ho espresso meraviglia per aver letto informazioni che poco c’entravano con l’evento tragico. Notizie che, ritengo ancora oggi, formano un solido granitico pregiudizio che si incrosta sulla pelle di tutti, dei molti, della maggior parte, di persone che da tutto ciò si vogliono affrancare. In questo caso San Luca, ma non vi è paese in Calabria dove non ci sia stata “operativa” una organizzazione ndranghetistica. E non vi è paese, in Calabria, dove giovani e meno giovani lottano per fuggire da questo timbro che sempre più sta diventando indelebile. Lo sforzo di un calabrese spesso gira a vuoto. E ci svuota. Penso ai giovani di San Luca, per non spostarci molto dai fatti. Quando leggono il pregiudizio negli occhi dell’interlocutore mentre rispondono alla domanda “ di dove sei”. A scuola, sul treno, all’università. Mentre ti candidi per diventare volontario di servizio civile, o quando fai conoscenza con qualcuno di un altro paese. Ammettiamolo, sentendo San Luca, si pensa più alla ndrangheta che a Corrado Alvaro. E non si pensa per nulla ai giovani che devono cercare un necessario riscatto mentre vorrebbero solo cercare il futuro, la serenità, la felicità. A volte, questo sentire viene agito dagli stessi calabresi. Che invece dovrebbero sostenere nei conterranei, ed in loro stessi, ogni forma di affrancamento da pregiudizi, esattamente come dall’illegalità. 

Azzardo un concetto. Anche il pregiudizio è illegale! 

Salutiamo le vittime di San Luca con la consapevolezza che siamo un popolo che deve lottare tre volte. Contro la Ndrangheta, contro Il Pregiudizio e contro la nostra stessa Inerzia che spesso ammazza più di ogni altra cosa. 

Le giovani vittime riposino in pace, e possa chi li ama trovare presto, nel loro ricordo indelebile, la giusta serenità.