sabato 24 maggio 2014

" eu su gabinettu" ......



eu su gabinettu....io sono un gabinetto!


Così, venticinque anni fa, mi urlò in faccia il signor N.
Lo chiameremo signor N. ma potremmo chiamarlo signore e basta, come non fu chiamato per trent’anni. 
Trent’anni passarono dentro le fredde, ammuffite mura del manicomio di Reggio Calabria, non luogo dove la sofferenza e l’indifferenza andavano a braccetto. 
Dove ogni uomo, ogni donna, ogni bambino ( si, venivano ricoverati anche molti bambini) si astraeva per venti, trent’anni dalla vita ed entrava in un altro mondo. 
Fatto di indifferenza, sigarette e tozzi di pane ammuffito.
Eu su gabinettu, mi urlò in faccia il signor N. quando gli chiesi che abito volesse indossare per andare a Messa. 
Ma l’abito buono blu ed elegante non può cancellare i trent’anni passati camminando a piedi nudi nel piscio altrui.
L’abito buono non può cancellare, di colpo, le coperte ruvide e pulciose nelle quali nascondersi, dentro le quali proteggersi dai propri deliri e da quelli altrui.
Eu su gabinettu, diventò, per me, appena trentenne, una poesia, dolce, dolorosa e intrisa nello stesso tempo di rabbia e passione per l’impegno, la lotta, il cambiamento.
Adesso, molti anni, dopo, N. non c’è più, e neanche io. 
Ma vive nelle pieghe dei ricordi. 
E bussa nelle serate di vento e memoria.

mercoledì 21 maggio 2014

Giovanni e la legge sull'amore.....



Dodici anni fa partecipai ad alcuni incontri in un liceo della Locride con gli studenti, sul tema della disabilità. Fu una bellissima esperienza. Lo chiameremo Giovanni. Giovanni era affetto da una gravissima patologia invalidante, ma tutta la classe lo aiutava, sia spingendo la carrozzina, che dando voce o scrivendo ciò che egli sussurrava loro. Allora una ragazza si avvicinò e mi porse il fogliettino dettato da Giovanni. Ci stava scritto così “lei ci parla delle leggi che tutelano l'eguaglianza, i diritti delle persone disabili, l'inserimento scolastico, ma esiste una legge che ci possa permettere di essere amati ed accettati?”
Ovviamente no, caro Giovanni, non esiste una legge. La legge non interviene sulle emozioni, sui sentimenti, ma sui diritti, sul funzionamento. Risposi in sincerità, ed aprii una discussione, alla quale con maturità e coerenza parteciparono anche gli altri ragazzi, rassicurando Giovanni.
“Ma ti vogliamo già bene noi, che la vuoi una legge? “E via dicendo.
Una bellissima pagina di solidarietà, amore ed accoglienza fu scritta dei ragazzi del liceo della Locride (ovviamente non svelo oltre.)
Ne uscii fortemente gratificato.
Quel che non pensavo, adesso, dopo dodici anni, è che avrei ingannato Giovanni parlando del mio “latinorum”. Leggi, regolamenti, delibere.
Per pezzi dello Stato, adesso, sono solo carta straccia non utilizzabile né per farsi amare, menochemai, né per ottenere un diritto.
Niente, nulla, zero.
Non scrivo oltre. Il resto lo affido alla mia lotta quotidiana. Ma mentre scrivo, sento di doverti chiedere scusa, caro Giovanni.
I diritti, al mondo d’oggi, altro non sono che soggettive emozioni.

domenica 18 maggio 2014

Le due anfore.......



Si narra che un portatore d'acqua reggeva, per mezzo di un bastone intorno alle spalle, due anfore.
Portava acqua fresca da bere alla casa del Maestro.
Un’anfora, però, perdeva. Per anni la storia andò avanti così.
Ed alla casa del Maestro arrivavano tutti i giorni due anfore. 
Una piena, un’altra, mezza vuota.
Il portatore d’acqua, dopo tempo, ed onestamente, si accorse di ciò, e ne fu mortificato.
“Maestro, avresti avuto molta più acqua se le anfore fossero state entrambe senza crepe. Tu mi hai pagato sempre come se ti avessi portato due anfore piene!!
Il Maestro sorrise benevolo e chiese al portatore d’acqua di ripercorrere insieme il sentiero che porta fino alla casa.
Da un lato del sentiero spuntavano fiori bellissimi, colorati e profumati.
Era il lato dell’anfora crepata. Era il margine del sentiero sul quale cadeva l’acqua dall’anfora rotta.
Su quel lato spuntava forte la vita.
“Ecco, amico, disse il Maestro, io l’ho sempre saputo, ed ho accettato di avere meno acqua, perché così riuscivo ad avere più fiori”.
Questo brano lo usai in momenti formativi dove andava detto, con forza, che la diversità, amici, toglie forse qualcosa, ma come narra la storia, ne dà altre. 
La diversità è una ricchezza per chi riesce a coglierla. 
Per chi riesce a guardare i fiori che spuntano dal sentiero...