Dodici anni fa partecipai ad alcuni incontri in un liceo della
Locride con gli studenti, sul tema della disabilità. Fu una bellissima
esperienza. Lo chiameremo Giovanni. Giovanni era affetto da una gravissima
patologia invalidante, ma tutta la classe lo aiutava, sia spingendo la
carrozzina, che dando voce o scrivendo ciò che egli sussurrava loro. Allora una
ragazza si avvicinò e mi porse il fogliettino dettato da Giovanni. Ci stava
scritto così “lei ci parla delle leggi che tutelano l'eguaglianza, i diritti
delle persone disabili, l'inserimento scolastico, ma esiste una legge che ci
possa permettere di essere amati ed accettati?”
Ovviamente no, caro Giovanni, non esiste una legge. La legge non
interviene sulle emozioni, sui sentimenti, ma sui diritti, sul funzionamento. Risposi
in sincerità, ed aprii una discussione, alla quale con maturità e coerenza
parteciparono anche gli altri ragazzi, rassicurando Giovanni.
“Ma ti vogliamo già bene noi, che la vuoi una legge? “E via
dicendo.
Una bellissima pagina di solidarietà, amore ed accoglienza fu
scritta dei ragazzi del liceo della Locride (ovviamente non svelo oltre.)
Ne uscii fortemente gratificato.
Quel che non pensavo, adesso, dopo dodici anni, è che avrei ingannato
Giovanni parlando del mio “latinorum”. Leggi, regolamenti, delibere.
Per pezzi dello Stato, adesso, sono solo carta straccia non
utilizzabile né per farsi amare, menochemai, né per ottenere un diritto.
Niente, nulla, zero.
Non scrivo oltre. Il resto lo affido alla mia lotta quotidiana. Ma
mentre scrivo, sento di doverti chiedere scusa, caro Giovanni.
I diritti, al mondo d’oggi, altro non sono che soggettive
emozioni.
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