giovedì 24 aprile 2014

Oggi, la Resistenza.



Oggi, 25 aprile 2014, è una bella giornata, un sole luminoso fa splendere Melito al di là dei propri meriti, e si celebra la Resistenza, o la Liberazione qualsivoglia dire. Diciamo entrambe, visto che l’una è conseguenza dell’altra. Al di là dei fiumi di parole che oggi si sprecheranno, farcite magari da qualche polemica sulla violenza della guerra partigiana, come se ciò possa anestetizzare la violenza e le barbarie del nazi – fascismo, mi vengono spontanee alcune, poche ed indolori, diciamo, domande. Oggi che significa Resistere, quando sotto il balcone di casa non hai le squadracce o non corri il rischi di essere rinchiuso in un campo di sterminio? Cos’è oggi la tirannia e chi sono i tiranni? E poi, l’ultima domanda, forse la madre di tutte quante. Ma siamo veramente liberi oggi, sessantanove anni dopo la Liberazione dal grigio – nero della violenza totalitaria?
È forse libertà, amici, preoccuparci, in caso qualcuno di noi desiderasse aprire un’attività commerciale, più del pizzo che delle tasse? O addirittura essere costretti a considerarlo una tassa tra le altre?
È forse libertà dire a noi stessi ed ai nostri figli, cosa ben più grave, che nulla mai cambierà? L’avessero detto i nostri Padri, incalzati dai manganelli, la Storia sarebbe cambiata decisamente. Purtroppo.
È tiranno chi invece dell’olio di ricino fatto ingollare nottetempo e con la violenza ti strema schiacciandoti i giorni attraverso continue, grandi e piccole inefficienze, che ti abituano al “minimo” e ti fanno gridare di stupore quando, oltre il piccolo tuo mondo, vedi il “medio”?
È tiranno oggi chi ti chiede di votare perché, dopo, avrai un vantaggio?
Avere queste risposte è impossibile, forse. Sarebbe presuntuoso fornirle con i miei modesti mezzi intellettuali. Porsi queste domande oggi però è vitale per una nuova resistenza.
Ecco, cos’è oggi, la Resistenza. È porsi, umilmente, delle domande.  
Le risposte, come la Liberazione, verranno di conseguenza.

mercoledì 23 aprile 2014

affari della polis o della familia?



Fare politica significa occuparsi degli affari della polis, la città.. Non è una mia idea, ma di qualcuno molto più in alto di me che sul tema ha ampiamente teorizzato. E non intendo, per mancanza di capacità, entrare in merito. Condivido pienamente la definizione e la rimbalzo a vantaggio di chi pensa che la politica è una cosa sporca. Però la politica sporca non nacque.
La politica, devo prendere atto, è stata però sporcata dagli uomini. E da chi?
Da tutti quelli che l’anno utilizzata, per esempio, a fini personali. Da tutti quelli che non la intendono un servizio alla collettività ma uno strumento per arrecare benefici, per esempio, alla propria famiglia, al proprio clan.
Ma è stata sporcata anche da tutti quelli che, ricoprendo ruoli politici, si sono girati dall’altro lato di fronte a palesi irregolarità o comunque inettitudini dove a pagare è stato il cittadino, il territorio, la stessa politica nel suo concetto più nobile.
Adesso alcune riflessioni.
Ma chi non s’interessa di politica la sporca con il suo, cosiddetto, menefreghismo? Forse, ma riconosciamone le attenuanti del caso. Di fronte a cotanta sporcizia, sfuggire è vitale, per molti. I quali, ignari, pensano di sfuggirne anche gli effetti. Ma da questi è un po’ più difficile.
Se non ci sono servizi, se chiude l’Ospedale, se il paese è sporco, se c’è la mafia ecc.ecc.…c’è anche per te. L’effetto del disinteresse lo pagano tutti.
Altra considerazione. Quanto conta il familismo il politica. Qui la considerazione si divide in due trance. Alla prima, una risposta secca. Il familismo in politica conta parecchio, perché difficilmente un elettore non voterà per un congiunto. Il quale, e qui sta lo sporco, visto la conta dei voti parentali, scarsamente conscio dei propri limiti, si candida ad aeternum forte di ciò.
La seconda sub considerazione riguarda appunto l’assunto di questo scritto, ovvero che politica significa affari della polis. Onestamente, lo vedete l’eletto con i voti della famiglia fare “gli affari dalla polis” e non quella dei parenti che l’hanno votato?
Ultima considerazione sul tema. Ma quali sono i nostri affari? Altro non sono che avere servizi, strade pulite, opportunità di sviluppo e crescita, e sono beni collettivi che vanno necessariamente visti come individuali.
Percepire come vantaggioso il parente consigliere comunale che ci fa saltare la fila per ottenere un certificato o ci permette d accedere ad un ufficio fuori dall’orario di ricevimento, scusate, è molto riduttivo.
Ci si vende per poco, molto poco. Vuol dire, forse, che il nostro valore è questo.
Io però non ci credo, non ci credo affatto. Ma questo ragionamento alla prossima puntata.

venerdì 27 dicembre 2013

storie nascoste.....



Sarà la fissazione, come suol dirsi, ma sento nell’aria un afflato di cultura e poi di libertà.
Non è l’aria frizzante di fine dicembre, ma la lettura, forse un po’ ottimistica, di un pulviscolo infinitesimale che non si posa ovunque, ed è questo forse il problema.
A ancora si posa dove può.
Prima o poi si poserà dove vuole. Poi, alla fine, si poserà ovunque.
Mi riferisco, visto che la sto tirando a lungo con le metafore, alla cultura melitese che si risveglia e promette risveglio. 
Ma ancora rimane, forse, un pò nascosta. 
Nonostante tutto, musica nostrana si sente, per chi la vuol sentire.                                    
                                       
Versi nostrani si recitano, per chi li vuol ascoltare.                                        Storie nostrane si scrivono, per chi li vuol leggere.


Figli della nostra terra c’inorgogliscono, per chi si sente pieno di quest’orgoglio altruista che cede l’io, per il noi.
Cosa manca?
Forse la Comunità, ma questa è storia di un’altra volta.

giovedì 26 dicembre 2013

l'orologio di Natale......

la notte di Natale di quasi quarant'anni fa, adolescente, la passai con due amici, con i quali condividevo i genitori poco inclini alle veglie ed un pò di solitudine.
In tre ci avventurammo per le vie del Paese Vecchio di Melito.
Un Presepe naturale. Freddo, poca luce, eccezione fatta dai braceri che si intravedevano, o s'intuivano. Non ricordo.
Per strada tre ragazzi e qualche cane randagio, con i quali facilmente avevamo siglato, tacitamente, un patto di non aggressione!
Solo tra solitudini è facile rispettarsi.
Girando girando per terra trovammo un orologio d'oro.
Francamente ci pensammo un pò su. Lo rigirammo tra le mani per provarne la consistenza, il valore, il funzionamento.
L'orologio si poteva trasformare facilmente in quei Levi's nuovi che ci erano rimasti in gola, o nell'ultimo LP di Roberto Vecchioni. O di Guccini.
Ma si poteva anche trasformare in un sostanzioso rimorso. Di quelli che ti prendono alla gola, allo specchio che ti riflette l'anima nuda, così com'è.
Allora, senza esitare, consegnammo l'orologio all'unica radio locale del vecchio romantico Melito anni settanta, affinchè facesse un annuncio di smarrimento.
Non abbiamo saputo più nulla.
Chissa se i miei due vecchi compagni ed amici ricordano quest'episodio, questo sottile filo di ricordi che lega le persone, gli amici ed a volte anche i nemici.
E quello fu, quasi quarant'anni fa, un Natale che ancora oggi ritorna a bussare.
Un Natale diverso.