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martedì 9 novembre 2010

il 13 novembre..le ragioni in piazza...


Che si torni alla piazza è atto, pur se nostalgico, dovuto.
La manifestazione del 13 novembre 2010, a Reggio Calabria, indica un disagio che, attenzione, non vive solo in III settore in quanto portatore di interesse diretto, ma vive, sia pur ancora a livello inconscio, tutta la società civile.
Quando si parla d’implosione dello stato sociale, di indebolimento del welfare, di abbassamento oltre misura dei livelli essenziali di prestazioni socio – sanitarie, siamo allo stato dei fatti e non alla drammatizzazione grecanica dell’esistente.
Ed a nulla vale la motivazione bandita della recessione generalizzata, perche i termini sono concettuali e non soltanto economici.
Ovvero, la domanda è - fino a che punto i servizi alla persona in questo attuale sistema di governace sono considerati primari?
Ovviamente poco se non per nulla.
Prova ne è l’assoluta assenza di adeguata programmazione dei Servizi Socio sanitari, il mancato rispetto dei ruoli sanciti dal principio di sussidiarietà e soprattutto l’inesistente attenzione verso le fasce deboli della società.
Concetto quest’ultimo dinamico ed in evoluzione, in quanto tra poco comprenderà anche gli operatori del settore socio – sanitario soffocati dai ritardati pagamenti o assoluta possibilità di prevedere se il mese prossimo - non dico tra un anno ma tra un mese- si lavorerà ancora!
Quello che mi preoccupa oltremodo è l’abbassamento progressivo ed ulteriore della soglia del possibile.
Il fatalismo ormai avvolge gli utenti e spesso anche gli operatori del settore, che non lottano più adeguatamente ma sia accontentano di poche e consolatorie risposte fornite dal costoso funzionario di turno, per niente toccato dalla famosa recessione di cui sopra.
Adesso è ora di smetterla.
Dal 13 novembre prossimo è ora di cambiare marcia.
Non possiamo assoggettarci più ad una logica che fa pagare la crisi generata dei forti ai soggetti deboli che in questa spora storia non c’entrano nulla!
In qualità di Presidente del Forum Distrettuale dell’Area Grecanica non posso assistere allo scempio delle esperienze e professionalità trentennali che hanno fatto crescere la nostra società rendendola civile e foriera di valori, come la solidarietà e l’impegno, vero contraltare ai fenomeni devastanti, come la ndrangheta ed il nichilismo, che ci affliggono.
Non si può assistere inerti alla solitudine dei malati terminali, dei disabili, delle persone anziane e delle loro famiglie, dei disoccupati vecchi e nuovi.
Lo abbiamo fatto per troppo tempo…adesso basta!
Termino con una frase di un insospettabile….
” il vero guerriero non è chi combatte perché nessuno ha il diritto di prendersi la vita di una altro essere umano, ma chi si prende cura degli anziani, dei deboli e soprattutto dei bambini, il vero futuro dell’umanità….” ( Tatanka I’iotanka – toro Seduto – (1837 – 1890)
Il welfare c’è sempre stato, dalla notte dei tempi.
Non distruggiamolo .

martedì 18 maggio 2010

il welfare...questo sconosciuto

Welfare state significa letteralmente stato di benessere e significa stato sociale, ovvero un sistema di norme ed interventi che tende ad eliminare le diseguaglianze innestando circuiti virtuosi sulle aree di bisogno. L’assistenza sanitaria, sociale, l’istruzione, il lavoro….
Questa è la teoria, ma la realtà…è tutt’altra cosa.
Un esempio è ‘istruzione Pubblica, area robusta fino agli anni novanta, che da quest’anno vede contrazioni spaventose di servizi, un incremento numerico degli alunni per classe sproporzionato all’offerta e la triste novità della disoccupazione che sostituisce il precariato negli Insegnati “annuali”.
Sulla Sanità, omissis e sul sociale si spiega dopo.
Ci ritroviamo una Sanità che non riesce in Calabria a quantificare il debito e che promette lacrime e sangue, leggi tasse, che a pagare saranno sempre i più deboli, come nel caso dei precedenti tiket.
I servizi sono quelli che vediamo.
Una sola autoambulanza per coprire i bisogni dell’Area Grecanica ( 33.000 residenti circa) mentre le postazioni di Continuità Assistenziale non ripartono, nonostante una sentenza del Tar di Reggio Calabria che ridefinisce il rapporto ottimale servizio – cittadino centralizzando quest’ultimo e non l’esigenza di risparmiare soldi spesi da altri…
Ma su questo ci torneremo con più specificità in seguito
Adesso vorrei centrarmi sul terzo settore locale, che rischia di diventare “fascia debole” come l’oggetto del proprio impegno.
Le Cooperative ed Associazioni che dagli anni 80 effettuano servizi alla persona in regime convenzionato o accreditato oggi sempre più annaspano, a causa di un riconoscimento sostanziale da parte degli Enti Pubblici ancora fumoso e spesso inesistente.
I mesi di riardo nell’erogazione dei pagamenti, per prestazione resa, soprattutto riguardo ai convenzionati con l’ASP 5 di Reggio, ammontano ormai a cinque.
Quindi il dipendente di una cooperativa che svolge servizio in regime di convenzionamento con l’azienda Sanitaria di Reggio ha ricevuto adesso il compenso relativo a dicembre 2009.-
Cosa accadrebbe se non ci fosse più un servizio di riabilitazione psichiatrica presso i servizi esistenti?
Ovvero se il “pubblico” decidesse di svolgere in proprio l’attività riabilitativa.
Anzitutto aumenterebbero i costi.
Altro è il compenso di un educatore professionale dipendente è notevolmente al di sotto di un analogo professionista dipendente pubblico, anche se nella nostra ASP forse non se n’è mai visto uno.
Lo stesso dicasi per gli Assistenti Sociali, Fisioterapisti, Infermieri ed altro…
Quindi i costi che si vogliono contrarre di fatto aumenterebbero.
A meno che si decidesse di non effettuare più attività riabilitative, riportando indietro la problematica della salute mentale agli anni settante, prima delle riforma sanitaria e soprattutto della legge 180 del 1978.
Questo configgerebbe con le norme di legge, a partire dalla Carta Costituzionale, con i vari Piani Sanitari regionali e soprattutto con i bisogni dell’utenza.
Ciò che sta accadendo con la Riabilitazione, nel contesto reggino, è emblematico.
E se l’utente ancora non vive il disagio nei servizi è grazie alla coscienza ed all’abnegazione del terzo settore convenzionato che lo rende centrale nel proprio impegno.
Ma fino a quando?
Fino a quando si potrà reggere un sistema diseguale, che vede il terzo settore divenire sempre di più fascia debole, con reddito basso e discontinuo, con riconoscimento debole a livello istituzionale e confusione rispetto al ruolo svolto ed alla professionalità dimostrata?
Questa è la madre di tutte le domande.
Ma il nostro terzo settore, storico e competente, non ci sta più ed ha deciso di scendere in campo per i propri diritti e quelli dei propri assistiti.
Quindi per i diritti di tutto il territorio.
Le azioni saranno visibili e tendenti ad informare tutti, affinché diventi un problema della Comunità e non del singolo.
Attraverso la massima diffusione possibile.
Alla prossima puntata….

mercoledì 9 settembre 2009

il confine

Prendo spunto da un fatto di cronaca riportato oggi dai media, Ovvero la morte di un detenuto di origine tunisina presso il carcere di Pavia.
Questa persona si è lasciata morire, dentro i suoi 21 chili terminali, spontaneamente, nell’indifferenza dello Stato che avrebbe, nel contesto rieducativo quale dovrebbe essere l’istituto di Pena, essere protetto e garantito a livello di salute fisica e psichica.
e' dato certo che le nostre carceri assumono sempre di più le caratteristiche di veri e propri manicomi, in quanto generano disagio e servono alla Società per non vedere i “mostri” ( questo concetto lo affermava Franco Basaglia , padre della psichiatria democratica).
Molto meno servono alla rieducazione dei detenuti.
Dov’è la Carta Costituzionale in questi postacci?
Per caso è rimasta fuori ad uso e consumo del perbenismo imperante che genera lo stesso malessere spesso affrontato con l’isolamento e la segregazione?
Quello che morto ieri è un uomo, forse con i sui errori, se li ha commessi, ma senz’altro con i suoi diritti che sono stati apertamente violati .
A questo punto apro una riflessione.
Dove finisce la “rieducazione” e dove inizia la vendetta.
Le condizioni dei detenuti si fanno sempre più drammatiche.
Affollamento, prevaricazione, carente tutela della salute, inesistente sicurezza, scarse speranze di inserimento successivo nei processi vitali societari.
Come può un essere umano, per quanto colpevole di qualsiasi delitto, riflettere sulla propria vita e non abbrutirsi per sopravvivere in quei contesti?
Dove stanno le forze sociali alle quali la società demanda il perseguimento del welfare?
Un primo passo va fatto.
E potrebbe essere il non cancellare dalla mente l’esistenza di questi esseri umani ai quali viene spesso negato il “diritto” di scontare una pena e non di subire una vendetta.
Anche quello il nostro luogo.