martedì 2 luglio 2013

Robespierre e la luna.



eu su gabinettu
eu su gabinettu, cogghiu schiacchi, sputi, fazzu schifu!!!
con l’angoscia disegnata sul volto e trent’anni di manicomio alle spalle, Robespierre, lo chiameremo così, mi guardava attraverso.
Nei suoi occhi chiari ci stava tutto l’orrore del mondo, e se guardavi dentro, e non oltre, ma dovevi avere molto coraggio per farlo, si intravedevano le indifferenze, le violenze, le intimità violate, le notti senza luna ed i giorni senza sole.
La vita senza domani che scorreva nella Casa del Nulla.
Io sono un gabinetto, gridava Robespierre, perché sentiva su di sé l’umanità che tirava lo sciacquone per non vederlo, con le dita consumate dalle sigarette fumate fino alla fine, senza denti e senza cervello.
Ma Robespierre aveva un cuore e cantava, cantava, cantava.
Nelle notti, dopo trent’anni, tornò la luna. E fu musica.
E non fu più gabinetto.
E non raccolse più schiacchi e sputi.
Ma applausi nelle notti profumate di gelsomino.
Anche lui se ne andò presto, come gli altri, lontano da me.
Anche lui andò ad abitare il posto dove tutto è giusto, dove anche i matti possono avere un lavoro, una donna e guidare un auto.
Io non so dov’è quel posto, ma so dove si trova Robespierre. 
Se guardate verso la luna, forse quel posto è lì,
e fate silenzio, si sente un canto al profumo di gelsomino.

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