Prendo spunto da un fatto di cronaca riportato oggi dai media, Ovvero la morte di un detenuto di origine tunisina presso il carcere di Pavia.
Questa persona si è lasciata morire, dentro i suoi 21 chili terminali, spontaneamente, nell’indifferenza dello Stato che avrebbe, nel contesto rieducativo quale dovrebbe essere l’istituto di Pena, essere protetto e garantito a livello di salute fisica e psichica.
e' dato certo che le nostre carceri assumono sempre di più le caratteristiche di veri e propri manicomi, in quanto generano disagio e servono alla Società per non vedere i “mostri” ( questo concetto lo affermava Franco Basaglia , padre della psichiatria democratica).
Molto meno servono alla rieducazione dei detenuti.
Dov’è la Carta Costituzionale in questi postacci?
Per caso è rimasta fuori ad uso e consumo del perbenismo imperante che genera lo stesso malessere spesso affrontato con l’isolamento e la segregazione?
Quello che morto ieri è un uomo, forse con i sui errori, se li ha commessi, ma senz’altro con i suoi diritti che sono stati apertamente violati .
A questo punto apro una riflessione.
Dove finisce la “rieducazione” e dove inizia la vendetta.
Le condizioni dei detenuti si fanno sempre più drammatiche.
Affollamento, prevaricazione, carente tutela della salute, inesistente sicurezza, scarse speranze di inserimento successivo nei processi vitali societari.
Come può un essere umano, per quanto colpevole di qualsiasi delitto, riflettere sulla propria vita e non abbrutirsi per sopravvivere in quei contesti?
Dove stanno le forze sociali alle quali la società demanda il perseguimento del welfare?
Un primo passo va fatto.
E potrebbe essere il non cancellare dalla mente l’esistenza di questi esseri umani ai quali viene spesso negato il “diritto” di scontare una pena e non di subire una vendetta.
Anche quello il nostro luogo.
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